Stomachion

mercoledì 10 settembre 2014

Se trovi cattivo questo mondo, dovresti vedere gli altri!

In effetti questa è (o dovrebbe essere) la versione estesa di una conferenza di Philip K. Dick alla convention fantascientifica di Metz, in Francia, nel 1977. Non sono riuscito a trovare trascrizioni dell'intervento realmente fatto dallo scrittore a Metz, ma il video (via Open Culture) è abbastanza differente (non troppo rispetto ai contenuti) rispetto al testo (archive.org) successivamente pubblicato sulla Philip K. Dick Society Newsletter #27.
Innanzitutto Dick esprime l'idea alla base di Matrix, che dal punto di vista squisitamente letterario dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l'influenza dello scrittore statunitense sul cyberpunk, di cui la trilogia dei Wachowski brothers è una delle massime espressioni (si potrebbe affermare che è una diretta conseguenza di Neuromante). D'altra parte è evidente quanto Dick credesse nella effettiva realtà di questa idea, quasi a suggerire che, se il multiverso esiste, in qualche modo noi siamo in grado di rendercene conto.
Dick, per la sua conferenza, ha quindi sfruttato due concetti, uno non completamente originale (ma bisognerebbe mostrare che conosceva l'argomento), ovvero il multiverso, e quindi l'idea alla base di Matrix, ovvero quella di vivere in una simulazione al computer. E' in particolare quest'ultima che mi interessa in questa sede, non solo perché è stata ripresa e filosoficamente approfondita da Nick Bostrom in Are you living in a computer simulation?(1), ma anche per le possibili implicazioni che avrebbe sul nostro universo se la si abbina con l'esperimento Holometer del Fermilab:
Così come i personaggi di una trasmissione televisiva non sanno che il loro mondo che sembra in 3D esiste solo su uno schermo in 2D, noi potremmo essere all'oscuro che il nostro spazio 3D è solo un'illusione. L'informazione riguardo ogni cosa nel nostro universo potrebbe essere effettivamente codificata in piccoli pacchetti di due dimensioni.
Iniziare il racconto in questo modo è, secondo me, fuorviante, nonostante sia abbastanza coerente con il principio olografico, proposto per la prima volta dal premio Nobel Gerardus 't Hooft:
Vorremmo sostenere un punto di vista un po' estremo. Sospettiamo che semplicemente ci sono non più gradi di libertà di cui parlare di quelli che si possono disegnare su una superficie, come dati dall'equazione(2) \[n = \frac{S}{\ln 2} = \frac{4 \pi M^2}{\ln 2} = \frac{A}{4 \ln 2}\] La situazione può essere confrontata con un ologramma di una immagine tridimensionale su una superficie bidimensionale. L'immagine è un po' sfocata a causa delle limitazioni della tecnica olografica, ma la sfocatura è piccola rispetto alle incertezze prodotte dalle fluttuazioni della meccanica quantistica usuale. I dettagli dell'ologramma sulla superficie stessa sono intricati e contengono più informazioni di quelle permesse dalla finitezza della lunghezza d'onda della luce.(4)
Come il lettore può osservare dalla nota (2), tutto è legato ai buchi neri. Supponiamo di rappresentare il nostro mondo come un reticolo di spin, con lunghezza spaziale definita dalla lunghezza di Planck. Ogni punto del reticolo potrà avere o spin su o spin giù. Il numero di stati distinti ortogonali in un volume $V$ sarà quindi dato da: \[N (V) = 2^n\] dove $n$ è il numero di nodi all'interno del volume. Il logaritmo della funzione di prima ci permetterà di calcolare l'entropia massima possibile del sistema. D'altra parte l'entropia di un buco nero è data dalla formula di Bekenstein e Hawking(7), che dipende dall'area dell'orizzonte degli eventi (come in nota 2). Ora questo implica che in alcune situazioni è possibile che l'entropia di un buco nero all'interno di una data porzione dello spazio, sia maggiore rispetto a quella del volume di questa porzione (calcolata con il logaritmo di $N (V)$). Come si risolve questa violazione del secondo principio della termodinamica? Semplice: Bekenstein suggerisce che l'entropia della porzione di spazio di volume $V$ è invece proporzionale all'area della porzione, ovvero va calcolata allo stesso modo con cui si calcola l'entropia di un buco nero: \[S = \frac{A}{4G}\] E' a questo punto che si inserisce 't Hooft e la sua prima formulazione del principio olografico (vedi citazione precedente):
In altre parole il mondo è in un certo senso un reticolo bidimensionale di spin.(5)
Affermazione forte, quella di Leonard Susskind, che di fatto, l'anno dopo, mostra come la combinazione di meccanica quantistica e gravità richiede che il mondo tridimensionale sia una immagine di dati che possono essere conservati in una proiezione bidimensionale, come una immagine olografica(5), che risulta abbastanza ricca da descrivere tutti i fenomeni tridimensionali(5).
O detta in termini più gentili (rispetto allo stesso Fermilab o a Repubblica): è possibile descrivere l'informazione contenuta in uno spazio tridimensionale utilizzando un modello bidimensionale(3), o immaginare che una struttura bidimensionale sia in grado di creare, un po' come con un ologramma, una qualche struttura tridimensionale.
Il principio olografico implica, quindi, una riduzione dei gradi di libertà necessari per descrivere l'universo. Per costruire una teoria olografica si possono avere due approcci: il primo ha come obiettivo la conservazione della località(6):
Una teoria locale potrebbe essere resa olografica se viene identificata una esplicita invarianza di gauge, che lascia solo i gradi di libertà fisici come imposto dal vincolo dell'entropia covariante. La sfida, in questo caso, è implementare ciò con una enorme e piuttosto peculiare invarianza di gauge(6).
Nel secondo approccio, invece, la località diventa un aspetto emergente della realtà, senza essere invece fondamentale:
In questo caso, i dati olografici sono fondamentali. La sfida è non solo comprendere la loro generazione ed evoluzione. Si deve anche spiegare come traslare dai dati di base, in un regime opportuno, allo spaziotempo classico abitato dai campi quantistici locali. In una riuscita costruzione, la geometria deve essere modellata e la materia distribuita in modo da soddisfare il vincolo dell'entropia covariante. Poiché i dati olografici sono più naturalmente associati con l'area delle superfici, una seria difficoltà nasce dalla comprensione di come la località emerge in questo tipo di approccio(6).
Tutto ciò è indiscutibilmente legato alla teoria delle stringhe, di cui Susskind è uno dei maggiori interpreti, ed è anche naturale che sia proprio la teoria delle stringhe a occuparsi del principio olografico: semplificando al massimo, si parte da oggetti monodimensionali per costruire oggetti bidimensionali e da qui, grazie alle interazioni, l'universo tridimensionale a noi noto. Che poi tutto questo venga guidato da un principio olografico, in ultima analisi, non falsifica la realtà delle nostre vite quotidiane.
Sulla conferenza di Dick:
Una trascrizione fedele del testo del video, anche se parziale, la si può trovare sul forum di David Icke.
Leggi anche Decrypted Matrix
Il video può anche essere scaricato da archive.org
Sul principio olografico:
Sono solo due degli articoli che si possono trovare sull'esperimento Holometer, ma invariabilmente tutti puntano l'accento sul vivere in un universo 2d, anche se, personalmente, sarebbe più corretto affermare essere generati da un universo 3d (giusto per mantenere il gusto al titolone, che sembra sia gradito anche agli uffici stampa accademici):
The Verge | Motherboard
(1) Ovviamente ci sono state reazioni all'idea, molto filosofica, di Bostrom: ad esempio un articolo su Discovery News o questo commento di Brian Eggleston
(2) dove $n$ è il numero totale di gradi di libertà booleani in una regione dello spaziotempo vicina a un buco nero, con $A$ area dell'orizzonte degli eventi.
(3) Questo aprirebbe le porte al seguente sillogismo: il fatto che utilizziamo una matematica quadridimensionale per descrivere il nostro universo, implica che esso sia almeno pentadimensionale!
(4) G. 't Hooft (1993). Dimensional Reduction in Quantum Gravity, arXiv: gr-qc/9310026v2
(5) Susskind L. (1995). The world as a hologram, Journal of Mathematical Physics, 36 (11) 6377. DOI: http://dx.doi.org/10.1063/1.531249 (arXiv)
(6) Bousso R. (2002). The holographic principle, Reviews of Modern Physics, 74 (3) 825-874. DOI: http://dx.doi.org/10.1103/revmodphys.74.825 (arXiv)
(7) Bekenstein J. (2008). Bekenstein-Hawking entropy, Scholarpedia, 3 (10) 7375. DOI: http://dx.doi.org/10.4249/scholarpedia.7375

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